Anoftalmia bilaterale: il bambino senza occhi salvato dal Senegal

Un padre preoccupato ha inviato un breve messaggio all’Osservazione delle Malattie Rare, che ha innescato una rete di assistenza che ha reso possibile il trasporto, la cura medica e la fornitura di protesi oculari per il giovane Mouhamed. Sebbene non riacquisirà mai la capacità di vedere, le protesi oculari gli permetteranno di esprimere le sue emozioni attraverso il suo sguardo.

La storia di Mouhamed è iniziata in Senegal nel luglio del 2022, in circostanze difficili. È stato chiaro fin dall’inizio la sua rara deformazione oculare e la mancanza di possibilità di cure nel suo paese d’origine. Tuttavia, grazie all’iniziativa del padre residente a Milano, la sorte di Mouhamed, nato con anoftalmia bilaterale, è cambiata drasticamente. L’anoftalmia bilaterale impedisce la formazione e la crescita delle vescicole ottiche, il che rende impossibile un trapianto oculare.

Una risposta tempestiva alla mail del papà del bambino è arrivata dal direttore della clinica delle malattie rare presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. La loro stretta collaborazione ha portato alla creazione di un piano d’intervento efficace per il piccolo Mouhamed. Una serie di cure specializzate gli sono state fornite grazie all’iniziativa umanitaria dell’ospedale, senza alcun onere finanziario per la famiglia.

Al cuore di questa iniziativa, c’è la dott.ssa Alessandra Modugno, specialista nella produzione di protesi oculari per bambini affetti da deformazioni congenite. È stata anche coinvolta l’Associazione KIM, in particolare il suo coordinatore Corrado Roda, per fornire alloggio e assistenza alla madre e al figlio durante il periodo delle visite mediche. La famiglia è giunta a Roma il primo marzo e da lì hanno ricevuto tutte le cure mediche necessarie.

Dopo un periodo iniziale di adattamento, Mouhamed è tornato a Milano con delle protesi oculari esteticamente avanzate che gli permetteranno di comunicare le sue emozioni attraverso il suo sguardo.

Nel caso di Mouhamed, il contributo dell’Associazione KIM è stato cruciale, soprattutto considerando che sua madre parla solo Wolof, un dialetto dell’Africa occidentale. Tuttavia, grazie alla collaborazione con altre madri residenti presso i locali dell’Associazione KIM e all’intervento del personale medico, è stato possibile comunicare e procedere efficacemente.

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